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Trent’anni senza il muro



Oggi ricordiamo trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino.

Non è caduto da solo: lo hanno abbattuto la predicazione di Giovanni Paolo II sulla necessità che l’Europa tornasse a respirare con due polmoni – quello occidentale e quello orientale – e il concerto dei Pink Floyd tenutosi a ridosso del Muro stesso poco tempo prima; lo ha abbattuto la voglia di libertà delle persone e dei popoli che i regimi possono tenere compressa, ma non possono annientare.
A trent’anni di distanza molti parlano del Muro e di muri. Anche quelli che allora erano parchi di parole. E ora si parla di muri materiali e anche di muri immateriali, lasciando intendere che qualunque forma di difesa della propria identità, della propria cultura, della propria civiltà è in qualche modo un muro, simile a quello di Berlino.
Ma nessuna similitudine è possibile: difendere la nostra civiltà è difendere la dignità e la libertà di tutti gli uomini e di tutte le donne. E il Muro di Berlino non era per niente un muro di difesa contro nemici veri o presunti: era brutalmente una gabbia per impedire che i cittadini di Berlino votassero coi piedi e fuggissero dal paradiso socialista in cui erano rimasti intrappolati.
Onore a coloro che hanno preferito perdere la vita tentando di scavalcare il Muro piuttosto che vivere nell’oppressione e nella menzogna!

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